Nell’Età Repubblicana furono molti i personaggi che si distinsero per le loro imprese sia militari che politiche, ma tra questi ci fu anche una donna che, nei secoli successivi, venne presa come esempio di matrona romana da imitare. Si tratta di Cornelia, figlia minore di Publio Cornelio Scipione Africano e di Emilia (figlia di Lucio Emilio Paolo), nata intorno al 189 a.C.. Di lei sappiamo che dopo la morte del padre, dal quale ereditò il carattere forte ed orgoglioso, probabilmente nel 175 a.C., all’età di soli 14 anni, andò in sposa a Tiberio Sempronio Gracco, uomo molto in vista, che aveva ricoperto la carica di console nel 177 a.C. ed era di molti anni più grande di lei (Polibio XXXI, 27, 1; Plutarco Ti. Gr. 4, 3).
Le fonti antiche ricordano che la coppia ebbe ben dodici figli, ma soltanto tre riuscirono ad arrivare all’età adulta: Tiberio e Gaio Gracco e la sorella maggiore Sempronia, che venne data in sposa a Publio Cornelio Scipione Emiliano. Nel 154 a.C. Cornelia rimase vedova e, nonostante la giovane età (aveva allora 35 anni), non volle risposarsi, scegliendo di restare univira (rifiutando anche la proposta di matrimonio di Tolomeo VIII Evergete, sovrano d’Egitto) e di occuparsi dell’educazione dei figli e di seguire la loro carriera politica. Molti autori latini, a lei contemporanei e non, spesso la citano sia come esempio di virtù, sia per la sua cultura. Ad esempio da Cicerone sappiamo che di Cornelia, che era in grado di scrivere e parlare correttamente sia il latino che il greco, esisteva una sorta di epistolario, e che i due giovani Gracchi “furono non tanto figli del grembo materno quanto della sua cultura” (“…legimus epistula Corneliae, matris Gracchorum: apparet filios non tam in gremio educatos quam in sermone matris…”Brutus, 211).
Cornelia madre dei Gracchi, Jules Cavalier, 1861
Grazie a Valerio Massimo (IV, 4) conosciamo l’avvenimento che la rese celebre tra i suoi contemporanei e per il quale ancora ai nostri giorni viene ricordata. Cornelia era una donna forte, virtuosa e colta, orgogliosa dei suoi figli a tal punto da rispondere ad una matrona che ostentava, in base alle nuove tendenze dell’epoca, la sua ricchezza e la qualità e quantità dei gioielli che indossava: “Haec ornamenta mea” (“Questi sono i miei gioielli”), indicando Tiberio e Gaio che rientravano in quel momento dalle lezioni. La frase destò meraviglia non solo per il grande affetto materno che dimostrava, ma anche perché Cornelia apparteneva ad una delle più nobili e ricche famiglie della Roma Repubblicana e poteva quindi avere e ostentare qualsiasi tipo di gioiello.
Cornelia madre dei Gracchi. Angelica Kauffman, 1785
Molte voci contrastanti circolavano su di lei riguardo al suo ruolo e alla sua influenza nelle esperienze politiche dei figli e ad oggi risulta ancora difficile stabilire con certezza quanto fosse realmente coinvolta. Sicuramente, essendo cresciuta con il mito delle imprese di suo padre, auspicava una grande carriera per i due giovani e sembra che fosse solita dire un’altra frase che la rese celebre: “Fino a quando mi indicheranno come la figlia di Scipione? Quando potrò chiamarmi la madre dei Gracchi?”.
Ma entrambi i figli, pur ricoprendo la carica di Tribuni della Plebe, non ebbero fortuna nella loro carriera politica: nel 133 a.C. Tiberio venne assassinato a bastonate da un gruppo di aristocratici che approfittarono di una delle varie sommosse popolari dovute alla grave crisi che colpiva Roma in quegli anni: il suo corpo venne preso e gettato nel Tevere. A poco più di dieci anni di distanza, nel 121 a.C., anche Gaio venne ucciso e Cornelia non poté neanche piangerli pubblicamente perché le autorità le vietarono di vestire il lutto. Come conseguenza di tutto ciò Cornelia decise di ritirarsi a Miseno, dove visse circondata da letterati greci e dove amava ricordare sia le imprese del famoso padre che i sui amati figli con orgoglio materno. È Plutarco (Ti. et C. Gr., XL, 4) a raccontare il suo modo di affrontare quanto le era accaduto:
“Si dice anche che Cornelia, per il resto, sopportò nobilmente e con grandezza d’animo la sventura, e riguardo ai luoghi sacri nei quali erano stati uccisi, (si dice) che affermò che i morti avevano sepolture degne (di loro). (Quanto a) lei, viveva presso il (capo) denominato Miseno, senza aver cambiato nulla dello stile di vita consueto. Aveva molti amici e, a causa della (sua) indole ospitale, (era) splendida nei banchetti, e sempre erano intorno a lei Greci e uomini di lettere, mentre tutti i re ricevevano da lei doni e (gliene) inviavano. Dunque per coloro che venivano (da lei) e per coloro che si intrattenevano (con lei) era molto piacevole mentre narrava la vita e il modo di vivere del padre Africano, ed assolutamente straordinaria quando ricordava senza dolore e senza lacrime il destino e il dramma dei figli, raccontando di loro come di (personaggi) antichi a coloro che (ne) chiedevano notizie.”
Mentre era ancora viva le venne eretta nel Foro una statua bronzea: fu la prima donna romana ad essere onorata in pubblico a Roma. Sia Plinio (Nat. Hist. XXXIV, 31) sia Plutarco (Ti. et C. Gr., XXV, 4) ricordano la statua a lei dedicata, rappresentata seduta, con calzari senza lacci, esposta nella Porticus Metelli e poi nella Porticus Octaviae. Nel 1878 venne scoperta nei propilei di questa Porticus, in prossimità del luogo ove sorge la chiesa di Sant’Angelo in Pescheria, una base di forma rettangolare, di dimensioni pari a m 1,20x1,75 ed alta m 0,80, in marmo pentelico con due iscrizioni incise, relative a periodi diversi. Quella principale, posta al centro della base, riporta il nome di Cornelia: Cornelia Africani F. Gracchorum ("Cornelia, figlia dell'Africano, madre dei Gracchi"). In base alla tipologia dei caratteri l’iscrizione è databile ad epoca augustea e dovrebbe quindi trattarsi del basamento della statua presente nel Portico di Ottavia.
La seconda iscrizione si trova nella parte alta del basamento e riporta semplicemente Opus Tisicratis (Opera di Tisicrate): non si sa chi sia questo artista, ma probabilmente in un periodo successivo (durante il Tardo Impero come sembra indicare il tipo dei caratteri usati) la base venne riutilizzata per sostenere una statua da lui realizzata. Chi fosse rappresentato su questa nuova opera non si sa, ma non si esclude che potesse raffigurare sempre Cornelia: sulla base vennero notate, al momento della scoperta, tracce di incendio che potrebbero aver danneggiato l’originaria statua e resa necessaria una sua sostituzione. In base alla tipologia e alle dimensioni della base, Cornelia dovrebbe essere stata rappresentata seduta, come infatti ricordano Plinio e Plutarco.
Base della statua di Cornelia (ora al Tabularium)
Nei secoli successivi fu sempre ricordata come donna irreprensibile, virtuosa e molto colta e spesso ne veniva esaltata la forza con la quale affrontava la sciagura legata ai suoi figli. In particolare Seneca (Cons. ad Marciam 16) dice: “A chi la consolava della sua disgrazia rispose: Mai dirò che non è stata fortunata la madre dei Gracchi”.
La sua fama era ancora molto forte nel Trecento, quando lo stesso Dante Alighieri la cita nel Limbo tra gli Spiriti Magni con il nome di Corniglia, trasposizione in volgare fiorentino del nome latino Cornelia (“..Lucrezia, Iulia, Marzia e Corniglia..” If IV, 28) e poi la nomina nuovamente nel XV canto del Paradiso (“..qual ora sarìa Cincinnato e Corniglia..” v. 129).
Manuela Ferrari